Ursula von der Leyen è a un solo passo dalla vittoria. Il fuoco incrociato sulla sua nuova Commissione 2.0, dopo settimane di accuse, minacce reciproche e trattative, non si è ancora fermato. Ma le anime della maggioranza europeista - popolari, socialisti e liberali - hanno suggellato un primo, fragile patto che nelle prossime ore potrebbe blindare i due vicepresidenti esecutivi Raffaele Fitto e Teresa Ribera, casus belli di uno scontro politico ben più ampio e articolato.
Le ultime schermaglie - sopraggiunte in serata e che hanno portato alla sospensione della valutazione delle commissioni parlamentari competenti dei candidati italiano e spagnola - sono tutte sulla clausola voluta dal Ppe per costringere Ribera alle dimissioni in caso di accuse formali della giustizia iberica sulla gestione delle alluvioni in patria. Un blitz che ha portato i socialisti a sospendere d'urgenza il via libera a Fitto.
Contrari in ogni caso all'alleanza invece i Verdi, che a luglio erano stati decisivi per consegnare l'Europa di nuovo nelle mani della tedesca. L'intesa politica sarà formalizzata, salvo nuovi colpi di scena, alla plenaria del Parlamento europeo il 27 novembre con uno scrutinio palese che, a fronte della probabile defezione dei Greens, questa volta dovrebbe contare anche sui voti di Fratelli d'Italia e di qualche altra delegazione dei conservatori di Ecr.
In attesa dell'annuncio della fumata bianca tra i coordinatori di tutti i gruppi dell'Eurocamera, l'annuncio del sofferto patto di coalizione targato Ppe, S&D e Renew si è diffuso intorno alle 17.30 tra le aule del Parlamento europeo. Un testo in nove punti per non lasciare l'Europa fare harakiri davanti agli equilibri geopolitici destinati a cambiare con il ritorno di Donald Trump oltreoceano.
Il richiamo alla responsabilità ha fatto avvicinare le posizioni su Fitto e Ribera, per giorni protagonisti di una corsa allo specchio: dalle audizioni del 12 novembre (il ministro italiano in apertura, la vicepremier spagnola in chiusura) passando per le resistenze dei socialisti sull'esponente di FdI e gli strali dei popolari nei confronti della madrina del Green Deal iberico.
A inizio giornata a Bruxelles gli occhi erano tutti rivolti al parlamento di Madrid, teatro dell'audizione della verità per Ribera. Accusata dal Partido popular di essere "una ministra in fuga", la vicepremier si è difesa strenuamente, assicurando di aver lavorato "dal primo minuto per risolvere i bisogni e le urgenze" e rispendendo le accuse di malagestione al mittente.
Poi un messaggio sul futuro: "La risposta al cambiamento climatico non è fanatismo". Argomentazioni che hanno irritato ancora di più gli oppositori di centrodestra, portando l'intera famiglia popolare all'ultimo avvertimento: se Ribera finirà sotto indagine, dovrà lasciare la sua poltrona a Palazzo Berlyamont. La formulazione della clausola ha suscitato però dubbi di carattere legale che in serata tenevano ancora sotto scacco il voto.
Speculari fino all'ultimo le riserve su Fitto tra i socialisti di Iratxe Garcia Perez, alimentate dalla contrarietà delle delegazioni francese, tedesca e olandese. I contatti tra i capogruppo Weber, Garcia Perez e, per i liberali, Valérie Hayer, si sono susseguiti per tutta la giornata. Molteplici i faccia a faccia, fino a un compromesso che non traccia linee rosse, ma si limita a riaffermare la collaborazione tra tutte le famiglie politiche "pro-Ue, pro-stato di diritto e pro-Ucraina".
Un adagio diventato mantra per von der Leyen sin dalla campagna elettorale. Nessun cambio di portafoglio, né tantomeno di grado per Fitto e Ribera: l'unico depotenziato è il fedelissimo di Viktor Orban, Oliver Varhelyi, che dal suo portafoglio alla Salute e al Benessere animale vedrà scomparire i distintivi su diritti riproduttivi, salute mentale, gestione delle pandemie e resistenza antimicrobica, affidati invece alla belga Hadja Lahbib.
A tarda sera però tutto è tornato in discussione. "Una sceneggiata", si sentiva ripetere tra i corridoi dell'Eurocamera, che tuttavia potrebbe allungare ulteriormente l'attesa di von der Leyen.
La tela di Tajani nel Ppe per il via libera sulle nomine
Un pressing all'interno della sua famiglia politica, il Ppe, per ammorbidire la posizione dei popolari nei confronti della socialista spagnola Teresa Ribera e sbloccare così l'intesa sull'intero pacchetto delle vicepresidenze Ue, che comprende anche Raffaele Fitto. Antonio Tajani, sottolineano fonti vicine al ministro, ha accelerato venerdì scorso incontrando a Monaco di Baviera il capo dei popolari europei Manfred Weber.
Il nodo all'interno del Ppe era, come noto, l'ostilità della delegazione spagnola verso Ribera, indicata da Pedro Sanchez, che a un certo punto ha rischiato di far saltare tutto. Il titolare della Farnesina - secondo quanto si apprende - ne ha parlato domenica al telefono direttamente con Ursula von der Leyen.
Lunedì a Bruxelles ha incontrato tre commissari designati per capire come costruire il percorso che avrebbe portato all'accordo di oggi e ieri ha riaffrontato la questione a Varsavia con i ministri degli Esteri europei presenti al vertice Weimar plus, ovvero i colleghi francese, tedesco e polacco. Attenzione - è stato il senso dell'allarme lanciato da Tajani a tutti i suoi interlocutori - a non far deragliare l'Europa in un momento così drammatico, con due guerre ancora aperte e alla vigilia di grandi cambiamenti oltre Oceano.
"Abbiamo trovato un approccio bilanciato. La cosa più importante è avere una Commissione in carica il primo di dicembre e avere stabilità in Europa. Socialisti, popolari e liberali avranno la possibilità di avere una forte influenza nella prossima Commissione e anche l'Italia deve far parte della leadership della prossima Commissione", ha commentato stasera proprio Weber dopo la fumata bianca.
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