"Non avevamo tempo": fu questa la risposta che un funzionario della Polizia diede a Licia Rognini, incredula per aver saputo da due giornalisti e non dalle forze dell'ordine la notizia che suo marito era "caduto" da una finestra della Questura, la notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969. Da quella notte, la moglie di Giuseppe 'Pino' Pinelli, il ferroviere anarchico ingiustamente accusato per la strage di Piazza Fontana, ha iniziato la sua battaglia per scoprire davvero cosa fosse successo a suo marito. E' morta questa mattina a Milano all'età di 96 anni sapendo però che "non è mai stata fatta verità fino in fondo".
Nel capoluogo lombardo arriva che non aveva neanche due anni da Senigallia (Ancona), dov'era nata nel 1928. E nelle case di ringhiera di viale Monza, periferia nord della città, cresce "in una casa di cento famiglie, dove c'era di tutto e potevamo essere tutto", come ha ricordato in "Una storia quasi soltanto mia", il libro intervista con il fondatore di Radio Popolare Piero Scaramucci nel quale per la prima e unica volta ha raccontato tutta la sua vita.
Conosce Pino a un corso di esperanto, "la lingua universale", 24 anni tutti e due e una visione del mondo che presto capirono essere la stessa. Si sposano tre anni dopo, nel 1955, in chiesa "per fare un piacere ai miei e perché si usava", lui allora disoccupato e poi ferroviere, lei segretaria che, dopo la nascita delle figlie Claudia e Silvia, lavora nell'appartamento delle case popolari di via Preneste battendo a macchina le tesi degli studenti.
Poi arriva il giorno che le cambia la vita: un paio d'ore dopo lo scoppio della bomba nella Banca dell'Agricoltura il 12 dicembre 1969, il commissario Luigi Calabresi va a prendere Pino Pinelli al circolo anarchico Scaldasole e insieme vanno in Questura. Muore tre giorni dopo la "18esima Vittima innocente in seguito alla Strage di piazza Fontana", come si legge sulla targa del Comune di Milano posata nel 2019 in occasione del 50/o anniversario.
Un riconoscimento alla sua innocenza che arrivò 10 anni dopo quello più importante: Licia Pinelli definì "un evento storico" l'invito al Quirinale per la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che definì Pino Pinelli "vittima due volte, prima di pesantissimi infondati sospetti, e poi di un'improvvisa, assurda fine". Quel 9 maggio del 2009 diventò una data storica perché fu anche la prima volta che Licia Pinelli incontrò e abbracciò Gemma Capra, la vedova del commissario Calabresi: "Mi sarebbe piaciuto incontrarla prima - ricordò Licia Pinelli -. Non c'è mai stato rancore verso la famiglia Calabresi; non l'ho mai provato, anzi. Non ci deve essere odio, c'è il ricordo e basta".
"Ho un ricordo tenerissimo di quell'abbraccio al Quirinale tra me e Licia Pinelli, quando lei mi disse: 'Peccato non averlo fatto prima'", ricorda oggi Gemma Capra che nel suo libro 'La crepa e la luce' scrive che "quella frase non la dimenticherò mai". "Eravamo due donne legate dallo stesso dolore - aggiunge all'ANSA - e siamo state capaci di cogliere l'importanza di un incontro pacificatore. La ricordo con affetto, lo stesso che ho provato nei nostri successivi incontri, e porgo alle sue figlie Silvia e Claudia le mie più sentite e affettuose condoglianze'.
Assieme a Gemma Calabresi, Licia Pinelli è stata nominata commendatore della Repubblica nel 2015 ma è stata costretta a combattere fino alla fine perché ancora nel 2022 ha fatto causa per diffamazione all'ex questore di Milano e prefetto di Roma Achille Serra per aver sostenuto la tesi del suicidio. Ed è morta oggi nella sua casa in zona Porta Romana, ancora convinta che "lo Stato ha perso perché non ha saputo colpire chi ha sbagliato".
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