Quattrocento villette a schiera identificate ognuno con un numero, avrebbero dovuto ospitare i militari della base americana di Sigonella: tutto attorno una recinzione di filo spinato, l'ingresso da un cancello di ferro.
Abitazioni rosa a due piani, ora "casa" di circa 4.000 migranti: è il Cara di Mineo, provincia di Catania, da sempre al centro di polemiche e scandali.
Il rischio che diventasse una realtà-ghetto, teatro di gravi fenomeni di marginalità e degrado sociale fu denunciato subito.
E nel tempo, dal 2011, anno in cui gli yankees diedero forfait e il 'Residence degli aranci' divenne, per decisione dell'allora premier Silvio Berlusconi e dell'ex ministro degli Interni Roberto Maroni, uno dei centri per richiedenti asilo più grandi d'Europa, nel Cara di Mineo è accaduto di tutto. Proteste degli ospiti e scontri con le forze dell'ordine, come nel 2012, quando diversi agenti rimasero feriti. Il centro allora, come spesso accade, era sovraffollato e le condizioni di vita degli ospiti ai limiti della decenza.
Poi lo scandalo della gestione, emerso nell'inchiesta romana su mafia-capitale, e l'indagine sulla cosiddetta parentopoli nelle assunzioni che ha portato a cinque informazioni di garanzia nei confronti, tra l'altro, del sindaco di Mineo Anna Aloisi. "Il Cara di Mineo è un caso di Stato", disse il procuratore di Caltagirone che indagava su illeciti nelle assunzioni e nell'aggiudicazione di un appalto da oltre 100 milioni di euro.
Il residence, sperduto nelle campagne catanesi, via via è diventato una specie di suk. All'interno convivono decine di etnie, di tribù: pachistani, siriani, libici, africani sub-sahariani. Una sorta di babilonia, dove si parlano lingue e si professano religioni differenti. Uomini, donne, famiglie ammassate, giovani che bivaccano: tutti in attesa di quel pezzo di carta che riconosca loro lo status di rifugiato.