"I film di Sergio Leone come le musiche di Ennio Morricone sono un bene mondiale, fondamentali per la storia del western, ma anche per il cinema in generale. I film di Leone comunque non possono essere mai copiati come è per quelli di Bunūel. Si possono invece copiare Kurosawa e John Ford, ma non lui". A parlare così oggi al Lido è una leggenda del cinema come Walter Hill che ha diretto film cult come I guerrieri della notte, 48 ore, Johnny il bello, Strade di fuoco e I guerrieri della palude silenziosa, un regista che a ottant'anni porta fuori concorso alla Mostra di Venezia un western, dentro e fuori la tradizione e anche con una chiara anima al femminile, come DEAD FOR A DOLLAR con nel cast Willem Dafoe e Christoph Waltz. Il riferimento a Sergio Leone di Hill è dovuto, perché in quella che può essere considerata la 'giornata western' al festival passa anche, nella sezione Venezia Classici, il bel documentario di Sergio Zippel, SERGIO LEONE - L'ITALIANO CHE INVENTÒ L'AMERICA, dal 20 ottobre in sala con 01.
Nel film di Hill, DEAD FOR A DOLLAR, siamo nel 1897 e il freddo cacciatore di taglie Max Borlund (Christoph Waltz) è al lavoro a Chihuahua in Messico. E' stato infatti ingaggiato da un ricco uomo d'affari di Santa Fe. La sua mission è trovare Rachel Price (Rachel Brosnahan), moglie presa in ostaggio e rapita da Elijah Jones (Brandon Scott), disertore afroamericano in fuga dall'esercito. Nel frattempo c'è l'incontro tra Borlund e Joe Cribbens (Willem Dafoe), giocatore professionista, fuorilegge e nemico giurato di Max che, anni prima, aveva mandato in prigione. Max scoprirà solo dopo che la donna è in realtà andata via spontaneamente con Elijah, fuggendo dal marito violento, e così tutto si complica.
"Dead For A Dollar - spiega Hill - ha molti elementi del western tradizionale: la nobiltà primitiva, i combattimenti come prove d'onore, la nostalgia del passato e l'antica, dura legge del coraggio. Allo stesso tempo, è un tentativo di parlare di razzismo e di questioni di genere, problemi contro cui lottiamo oggi". E ancora sulle tematiche di genere: "Certo è un film che tiene conto della nuova posizione della donna nella società.
Non è congelato a quelli degli anni Trenta o Cinquanta. È il caso del personaggio di Rachel che non è affatto vulnerabile come donna, ma è un po' un Elena di Troia". Una delle caratteristiche del western, spiega poi il regista, "è che non c'è nulla di deciso nella storia, ma il confronto finale tra Dafoe e Waltz è legato alle loro convinzioni, al loro carattere e quindi è inevitabile".
A fine conferenza stampa arriva una domanda scomoda, e forse fuori contesto, a cui però Walter Hill replica con sicurezza e senza scomporsi. C'è infatti chi gli chiede se sia giusto nei western dare una certa immagine delle donne e soprattutto ostentare tanta violenza gratuita. "Vedo la cosa in modo diverso - spiega il regista -. Non ho mai promosso la violenza delle armi nei miei film, uso le armi per raccontare una storia, quelle stesse armi che hanno fatto sì che gli schiavi siano stati liberati come i campi di concentramento nazisti".
La vicenda narrata dal film di Hill - che stasera riceverà il Cartier Glory to the Filmmaker - , prende spunto dalla sceneggiatura The Moon of Popping Trees di Matt Harris (insignita nel 2002 del premio Nicholl Fellowship in Screenwriting) adattata per l'occasione dallo stesso Walter Hill.
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