Il rapporto perduto con la natura, il nostro credere di essere il padroni del mondo, il potere maschile che porta alla guerra e il rapporto con la famiglia. La scrittrice ecuadoriana Natalia Garcia Freire ci mette di fronte a tutto questo in un modo lirico e visionario nel suo debutto nella narrativa con la favola nera 'Questo mondo non ci appartiene', pubblicato da Sur, con cui è venuta a Libri Come, la Festa del Libro e della Lettura all'Auditorium Parco della Musica di Roma.
"Questa guerra ci mette di fronte da una parte ai poteri tendenzialmente maschili che si impongono in modo nefasto sul mondo e dall'altra anche al fatto che non siamo capaci di uscire da noi stessi e di metterci nei panni dell'altro, del diverso da noi che non vogliamo vedere e non riusciamo ad accogliere e questa è la cosa più negativa di tutte" dice all'ANSA la scrittrice che è nata a Cuenca, dove vive, nel 1991, ed è meticcia, ha un'eredità indigena e spagnola. Nel romanzo troviamo Lucas, tornato alla casa dei genitori, in un lungo dialogo con il padre morto sepolto nel giardino e che lui immagina in questa favola noir mangiato dagli insetti che sono una specie di intermediari tra la vita e la morte, ci mostrano che non siamo noi umani i padroni del mondo. "Gli insetti sono una sorta di metafora di tutto ciò che potrebbe invaderci eppure non lo fa. Possiamo vederli come esseri timidi che si appropriano di tutto però lo fanno attraverso le nostre azioni. L'esempio più eclatante è il coronavirus che abbiamo noi stessi provocato e che ci impedisce di fare la nostra vita. Gli insetti ci mettono in qualche modo davanti alla morte e a un'epoca che è centrata totalmente sull'uomo" spiega la Freire per cui l'incontro con la natura è assolutamente quotidiano per il posto in cui vive. "In Ecuador e in tutta l'America latina, tutti i giorni sentiamo notizie di boschi che si esauriscono, della selva che si perde, di petrolio rovesciato, di acque contaminate. Questo romanzo è un tentativo di tornare a un bosco anche metaforico" sottolinea la scrittrice che insegna scrittura creativa ed è stata giornalista di viaggio.
"La prima cosa che dovremmo fare è fermare tutto, fermarci un momento. E' come se fossimo su una giostra che continua a girare. Credo che tutti questi conflitti abbiano una forte base legata al nostro rapporto con il tempo che è troppo accelerato. E' un argomento che mi ossessiona, mi preoccupa molto e credo che se è ancora impossibile rincontrarci in qualche modo con ciò che è naturale, piccolo, lento, è possibile farlo attraverso la scrittura, la favola. Dobbiamo tornare a una dimensione primitiva" dice. Ed è convinta che "il coronavirus, l'approvvigionamento delle risorse, il cambiamento climatico siano il segno che ci stiamo avvicinando alla fine di un'era. E penso che dovremmo vedere le forme naturali, ma anche la tecnologia più avanzata, per esempio l'intelligenza artificiale, non come qualcosa di utile, ma come qualcosa con cui dobbiamo imparare a convivere, perché altrimenti non c'è via d'uscita per creare una nuova forma di vita che sia più comunitaria, meno improntata all'individualismo". E se la guerra in Ucraina ci mette di fronte "ai poteri maschili che si impongono in modo nefasto sul mondo", anche l'esplorazione della famiglia non riserva allegre sorprese nel libro. "La esploro non solo rispetto alle dinamiche di potere tra genitori e figli, ma anche dei poteri più svariati che vengono messi in atto all'interno delle famiglie: il maschile e il femminile, ciò che è debole contro ciò che è forte, la pazzia contro la razionalità. Il mondo intero si può riflettere all'interno di una famiglia come all'interno di una casa. Sono dinamiche di ogni famiglia e molto diffuse in Ecuador e dipendono molto da ciò che non si dice, dal silenzio che molto spesso nasconde delle violenze" spiega Natalia Freire che è una grande lettrice di noir e prima di questo romanzo ha scritto altro, ma non racconti "perché mi fa paura la forma perfetta che hanno, ma spero di poterne scrivere un giorno".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA