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Maurizio Donadoni, a teatro racconto Matteotti, l'altro M.

Maurizio Donadoni, a teatro racconto Matteotti, l'altro M.

A 100 anni da omicidio in scena storia del deputato antifascista

ROMA, 16 marzo 2024, 17:55

Daniela Giammusso

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

È il 10 giugno 1924, un martedì cocente di sole. Sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, a Roma, Giacomo Matteotti, deputato socialista in prima linea nel documentare e denunciare le illegalità commesse dalla nascente dittatura di Benito Mussolini, viene rapito e ucciso da un gruppo di fascisti al comando di Amerigo Dùmini. Il suo corpo verrà ritrovato solo due mesi più tardi.
    A cento anni dal delitto che avrebbe potuto segnare un punto di svolta nella storia del Paese, per l'indignazione popolare che sollevò, a ripercorrere la storia del 38enne antifascista, la cui vicenda umana si intreccia inestricabile con quella politica, è oggi Maurizio Donadoni in Matteotti Medley, documentario teatrale all'Oscar di Milano dal 21 al 24 marzo e al Basilica di Roma dal 14 al 19 maggio, per la regia di Paolo Bignamini.
    "Oggi non c'è città che non abbia una via o una piazza intitolata a Matteotti", racconta all'ANSA l'attore, tra il successo della nuova stagione di Lolita Lobosco e WiShakespeare, il festival che tornerà a riempire Bergamo di spettacoli e versi del Bardo (26 luglio - 6 agosto). "Anzi - dice - nella classifica toponomastica, in Italia Matteotti è quarto dopo Garibaldi, Mazzini e Dante. Eppure pochi ne conoscono la storia.
    Io è da un po' di tempo che mi occupo di Teatro civile. Dopo il Vajont e la Rosa bianca, sono anni che studio Matteotti. C'è così tanto da raccontare, che a fine spettacolo lascio agli spettatori un Qr code per approfondire. Matteotti era un letterato, amava il canottaggio, si era comprato un'auto già nel 1914".
    Perché la sua storia? "Intanto perché la memoria vacilla - risponde lui - E poi, mi viene in mente una frase che pronunciò poco prima di morire: 'Ogni epoca ha avuto i suoi martiri, le sue vittime, gli inutili eroi che col loro sacrificio, hanno aperto gli occhi e la strada agli altri'. Ecco, al funerale di Navalny i poliziotti buttavano via i fiori che la gente portava.
    Lo stesso avvenne con Matteotti. Il potere si declina più o meno nelle stesse maniere, quello che a me interessa è il tema della prevaricazione, il nostro atteggiamento verso la democrazia, perché, come dice Hannah Arendt, il totalitarismo è un mutaforma: spunta fuori, lo combatti, pensi di averlo sconfitto, ma quello serpeggia sottoterra e rispunta in altre forme che non riconosci".
    In scena, dunque, Donadoni, percorre a ritroso la vicenda storica, politica e umana del parlamentare, aprendo uno squarcio sull'Italia (e sulle canzoni) di quegli anni. "Cosa avrei fatto al suo posto? - si domanda - Matteotti aveva una moglie, Velia, che amava tantissimo, e tre figli piccoli. Mi colpisce la sua capacità di buttare il corpo nella lotta. Era uno che parlava ai giovani, radicalmente riformista. E mettere la democrazia al centro dei propri pensieri, pensare che un avversario debba sempre esprimere la sua idea, anche se non si è d'accordo, è un messaggio importante. Mussolini, invece, con lui superò il punto di non ritorno". Già, Mussolini, sapeva o non sapeva di quell'omicidio? "Gli storici hanno le loro risposte - dice Donadoni -. Io mi chiedo se Matteotti sapesse. Il suo è l'eroismo della quotidianità. Ecco, sulla scia del libro di Antonio Scurati, questo spettacolo avrei potuto intitolarlo M, l'altro".
    Ora il sogno è portarlo anche sui luoghi che appartengono alla storia di Matteotti. "Il ministro Federzoni ordinò che il suo corpo viaggiasse su un treno di notte, da Monterotondo a Fratta Polesine senza toccare Roma, scortato da cento Carabinieri, come un ladro - conclude -. Forse le Ferrovie potrebbero regalargli un ultimo viaggio, come voleva sua moglie e come hanno fatto per le Foibe: un treno dell'epoca, cui rendere omaggio al passaggio nelle stazioni".
   

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