"Ricordo quando arrivai per la prima volta nei Balcani, in una casa bombardata dove tutti erano rimasti uccisi. Vidi il sacchetto di un grande magazzino di Trieste dove andavo anch'io: la guerra è qualcosa di reale, che ti tocca. Credo che il tentativo sia stato anche questo: far sentire a chi è a casa che quello che succede forse non è così lontano". È l'impegno che ha guidato Giovanna Botteri nel suo percorso da giornalista, che l'ha vista a lungo inviata di guerra per il Tg3 e poi corrispondente per la Rai, dagli Stati Uniti, dalla Cina e dal 2021 dalla Francia. Una carriera che l'ha resa "un'icona del servizio pubblico", plaude l'Usigrai nel giorno in cui Botteri raggiunge l'età della pensione.
"Ma un mestiere così non è che si abbandona: noi questo sappiamo fare e continuiamo a fare, come Il suonatore Jones di De André, 'suonare ti tocca / per tutta la vita'. È una strada che forse si fa anche in un modo diverso", confessa al telefono con l'ANSA da Parigi - da cui sta raccontando le manifestazioni anti Rassemblement national - Botteri, che dopo le prime esperienze nella carta stampata ha iniziato a collaborare con la Rai, entrando poi nella redazione esteri del Tg3, testata per cui ha raccontato da inviata speciale i principali avvenimenti internazionali, dalla rivoluzione in Romania alle guerre in Bosnia e Kosovo, dal G8 di Genova all'occupazione statunitense in Iraq, vincendo il Premio Ilaria Alpi e il Premio Saint Vincent per i suoi servizi da Baghdad.
"Non sono sui social, in questo momento la cosa che voglio fortissimamente è ringraziare tutti quelli che in questi anni in Rai mi hanno aiutato, mi sono stati vicini, mi hanno insegnato tante cose: colleghi, tecnici, operatori, montatori, impiegati, quelli che ti prendono i pezzi. Il bello di questa avventura - ci tiene a sottolineare la giornalista, che è nata a Trieste nel 1957 e il 14 giugno ha ricevuto il premio Bellisario per l'informazione - è che è un'avventura umana, per le persone che incontri, le storie che senti, per quelli che lavorano per te e con te e che magari non si vedono. Se il mio lavoro è stato ben fatto, è stato grazie a loro. Questa è la lezione forte di umiltà e di rispetto che mi hanno insegnato questi anni ed è quello che mi porto dietro".
Fare l'inviata di guerra e poi la corrispondente "significa incrociare la tua vita con quella degli altri: in qualche modo - si appassiona - ogni pezzo di strada è un ricordo delle persone con cui ho compiuto il cammino, di quelle che ho visto morire al fronte, in guerra. Come dico sempre, è moltissimo quello che noi riceviamo, probabilmente molto di più di quello che riusciamo a dare: vai, racconti storie e te ne vai via, e le persone ti danno fiducia, la possibilità di raccontare, di spiegare una guerra, una tragedia, una pandemia, una rivoluzione, un cambiamento, tu attraversi un pezzetto della loro vita e la porti agli altri".
Tra le lezioni che ha imparato, Botteri ricorda le prime esperienze da corrispondente di guerra: "Avevo mia figlia piccolissima, ero una delle pochissime reporter di guerra, forse l'unica con figli, e mi vergognavo di mostrare che avevo paura: ecco, ho imparato che non bisogna vergognarsi di avere paura, perché la paura ti detta prudenza e ti salva la vita. E poi nelle situazioni difficili ho imparato a distinguere la gente buona da quella cattiva, perché in certi momenti non ci sono compromessi né finzioni, anche nei rapporti con le persone c'è molta verità".
"Ho capito - continua - in che modo faccia la differenza essere una donna, una cosa che rivendico sempre: i miei occhi sono quelli di una donna, di una madre, ho raccontato storie che forse non erano così scontate, in un momento in cui si raccontavano poco i profughi, i civili, le famiglie, aspetti che oggi sarebbe impossibile portare fuori dal racconto. E questo è un risultato raggiunto un poco anche grazie a noi, che abbiamo portato la nostra sensibilità, la nostra attenzione, uno sguardo femminile non nel senso che appartiene a una donna, ma che è capace di raccontare qualcosa di diverso".
"Le passioni si mantengono tutte, non si abbandonano mai", sorride. "Forse, visto che sono un'appassionata di nuoto, ora farò più vasche".
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