L'Europa è di fronte ad un'occasione epocale, ad una curva della sua storia che potrebbe farle recuperare il tempo perso nel periodo precedente alla pandemia. Questa occasione è stata servita ai leader europei su un piatto d'argento da Vladimir Putin che con la sua scellerata guerra contro l'Ucraina è riuscito a ricompattare un'Europa che per molto tempo era stata preda di egoismi, titubanze, lentezze burocratiche e di una sostanziale mancanza di visione e di coraggio. Adesso la strada è chiara e gli obiettivi facilmente individuabili. L'Ue deve però, di fronte al bivio in cui si trova, stare attenta ad imboccare la strada giusta. E questa scelta non è per niente scontata. La lotta alla pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno costretto l'Unione europea ad un cambio di marcia netto e deciso. Durante i due anni di lotta al Covid ha riscoperto la solidarietà fra gli Stati e trovato la consapevolezza della necessità di muoversi in modo coeso di fronte ad una delle più grandi tragedie che ha colpito il mondo negli ultimi decenni. L'atroce conflitto scatenato da Mosca ha ridato agli europei l'orgoglio di difendere i valori e i principi su cui la vecchia Europa è costruita, ha fatto sviluppare in modo pragmatico quella politica estera comune di cui i leader europei parlavano, senza alcun reale costrutto, da molti anni, ha dato ai 27 il coraggio di scendere in campo in modo deciso di fronte alle violazioni delle regole internazionali, della sovranità e dell'integrità territoriale di uno Stato democratico.
Adesso però l'Europa non può e non deve fermarsi. I leader dei grandi Paesi europei hanno probabilmente capito che nel nuovo ordine mondiale che nascerà nel post guerra l'Europa potrà avere un ruolo solamente se agirà da vera Unione. Il forte rafforzamento della Nato - altro regalo di Putin all'Occidente - non deve illudere, la costruzione progressiva nel tempo di una vera identità di difesa è ineludibile anche se molto complicata. Così come lo sono gli altri obiettivi: una politica estera comune definita e stabile, un'autonomia strategica nei settori dell'energia, delle rinnovabili, dell'ambiente e delle nuove tecnologie. E poi la riforma del Patto di stabilità con un'economia al servizio, nel rispetto delle regole, dello sviluppo e della crescita ma non al servizio di parametri ormai obsoleti e anacronistici. Le riforme vanno fatte velocemente e per farle bisogna partire dal cambiamento dei meccanismi decisionali cominciando con il voto all'unanimità, un freno a mano perennemente tirato. Nella Nuova Europa che nascerà il tempo delle decisioni sarà fondamentale. In questo momento l'Europa è un treno costretto a rallentare continuamente per adeguarsi alla velocità del vagone più lento. Non potrà più essere così. Dovrà essere un'Europa a geometria variabile, a cerchi concentrici, sfruttando quello che i Trattati europei già prevedono, ovvero le cooperazioni rafforzate: gruppi di Paesi che vanno avanti su singole iniziative lasciando la porta aperta agli altri, come è successo per l'Euro o per la convenzione di Schengen.
Sembra tutto segnato e chiaro, ma purtroppo non è così. I rallentamenti e il doppio gioco messo in piedi dall'Ungheria e da altri Paesi sulle sanzioni sul petrolio russo, i dubbi tedeschi sui tempi dell'ingresso di Kiev nell'Ue, le ambiguità di Bruxelles sui pagamenti del gas russo sono segnali che raccontano di un rallentamento dello slancio europeo in questa fase decisiva per il suo futuro. Ma basta guardare alla storia europea per capire da quale parte andare. Basta ricordare quello che fecero i padri fondatori sulle macerie della Seconda guerra mondiale o i leader europei come Kohl, Mitterrand e Delors sul confine tra la guerra fredda e il nuovo mondo che si apriva. La Storia si ripresenta e chiede il conto. Ai leader di oggi basterebbe attingere alla memoria europea, imparare e poi, davanti al bivio, scegliere la strada giusta.
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