Il primo impianto di un chip della Neuralink in un essere umano è stato effettuato domenica e il paziente si sta "riprendendo bene. I risultati iniziali mostrano un promettente rilevamento dei picchi di neuroni". Lo ha annunciato Elon Musk su X. Gli impianti di Neuralink hanno come obiettivo quello di rivoluzionare il cervello tramite chip in grado di aiutare chi ha problemi neurologici e lesioni traumatiche leggendo le onde celebrali.
In maggio la società di Musk aveva annunciato di aver ricevuto il via libera dalla Food and Drug Administration a condurre i primi test su esseri umani. Alla fine dello scorso anno è stato poi avviato il reclutamento dei volontari.
Neuralink ha già condotto vasti studi sugli impianti negli animali, attirandosi critiche da molti attivisti, secondo i quali la società ha abusato dei diritti degli animali violando l'Animal Welfare Act, la legge che regola come i ricercatori possono trattare ed effettuare esperimenti su alcuni animali.
"Il primo prodotto di Neuralink si chiama Telepathy, permetterà di controllare il telefono o il computer e attraverso di questi, molti altri dispositivi": così Elon Musk, fondatore e principale finanziatore dell'azienda Neuralink vede il futuro del chip impiantabile. Lo ha scritto sulla piattaforma X poco dopo avere annunciato il primo impianto in un essere umano. "L'uso iniziale - ha proseguito Musk - è per chi ha perso l'uso delle gambe. Immaginate se Stephen Hawking avesse potuto comunicare più velocemente".
Sull'esperimento Neuralink di Musk nessuna pubblicazione, cautela
Sul primo impianto di un chip nel cervello di un essere umano non c'è al momento una pubblicazione scientifica e occorre quindi cautela prima di pensare ad applicazioni per la cura di malattie neurologiche: lo rileva in una nota Paolo Maria Rossini, direttore del dipartimento di Neuroscienze e neuroriabilitazione dell'Irccs San Raffaele di Roma.
"L'annuncio dell'impianto cerebrale su di un essere umano è interessante, ma l'entusiasmo che ha suscitato è per ora poco motivato", osserva. Al momento, prosegue, "sappiamo solo che il paziente si sta riprendendo bene dall'intervento e che i contatti tra microelettrodi e neuroni sono funzionanti". Di conseguenza "le prossime giornate e settimane saranno determinanti per comprendere se e quanto questo tipo di approccio potrà dare le risposte paventate".
Rilevando che "non è mai facile commentare una notizia scientifica che non sia stata pubblicata su una rivista di settore con tutte le informazioni e i dettagli del caso", Rossini dice che "numerosi tentativi precedenti sono stati fatti con un approccio simile da un punto di vista teorico".
Nell'esperimento della Neuralink "si dovrà verificare quante volte il comando inviato dal paziente viene interpretato in modo corretto dall'apparecchio e viene quindi eseguito con efficacia e quanti errori e di quale portata (anche in termini di rischio) esso compie. Si dovrà verificare la durata della bontà del contatto nel tempo perché attorno alla punta degli elettrodi si crea una reazione fibrosa che ne diminuisce l'efficacia". Si dovrà anche "valutare poi il rischio di interferenze con le onde elettromagnetiche emesse da comuni apparecchiature e che riempiono oggi l'ambiente di una casa normale" e "verificare se la presenza di microelettrodi inseriti in corteccia induca una irritazione dei neuroni penetrati dagli elettrodi con relativo aumento del rischio di epilessia".
Secondo l'esperto "pensare già oggi di utilizzare questo tipo di approccio in casistiche estese e in patologie di grandi numeri come i pazienti colpiti da stroke, da Parkinson e addirittura da malattie psichiatriche è non solo molto prematuro, ma fuorviante perché induce speranze del tutto immotivate in malati e famiglie
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