In un anno ha scalato il Pd ed è arrivato a Palazzo Chigi dopo che nel 2011 capì che "l'Italia era scalabile". Ma non vuole perdere lo spirito del pioniere.
Matteo Renzi apre la quinta edizione della Leopolda, trasformata in un garage proprio per emulare Steve Jobs che, partendo da un'idea, è riusciti a cambiare il mondo. Senza paura di paragoni, il premier ora crede di cambiare l'Italia e di smentire "i tanti che credono che l'Italia sia irriformabile".
Per questo il leader Pd mette una diga tra la Leopolda "dove si propone" e la piazza della Cgil "dove si protesta". "Si protesta contro il governo, contro di me", dice il premier, ma non ci fermeranno.
Mezzo Esecutivo parteciperà alla due giorni di dibattiti ed interventi dal palco nella vecchia stazione fiorentina. Alcuni ministri, come Giuliano Poletti, parteciperanno anche ai tavoli di discussione e di confronto con i cittadini, che per il premier sono l'anima della kermesse. "Qualcosa è cambiato in questi anni anche grazie alla Leopolda", omaggia Renzi.
Reduce da Bruxelles e dalla battaglia con l'Ue sui conti pubblici, il premier si è catapultato alla Leopolda senza neppure passare da casa. E, aprendo la manifestazione, ripercorre le tappe degli ultimi 5 anni, da quando "abbiamo capito che l'Italia - dice - poteva essere presa, rivoltata e cambiata". E rilancia la sfida. "Azzeriamo il file di quello che abbiamo fatto fin qui e domenica usciamo con tante proposte", è l'invito ai 5 mila partecipanti a non dormire sugli allori.
Pur davanti alle responsabilità di governo, il premier non sembra aver perso la voglia di cambiare le cose privilegiando più gli strappi e le rotture che le mediazioni. Il difficile rapporto con i sindacati è il simbolo del metodo del presidente del Consiglio che non vuole piegarsi ai riti dell'establishment: si ascolta tutti ma alla fine è il governo a decidere. Contro questo stile, oltre che contro i contenuti del jobs act, la Cgil è convinta di portare in piazza, domani, centinaia di migliaia di persone. E una larga fetta della minoranza Pd, da Stefano Fassina a Pippo Civati, da Cesare Damiano a Guglielmo Epifani, domani sfileranno per le vie di Roma contro le politiche del governo. Renzi, però, non sembra affatto preoccupato dalla contrapposizione nè teme che la Cgil offuschi la sua Leopolda o peggio l'attività di governo. "Ho grande rispetto per la manifestazione della Cgil - sostiene - ma il fatto che Vendola la usi per annunciare uno sciopero generale dimostra come quella piazza si stia caricando di grandi significati politici. Quella piazza è di protesta sindacale e politica e io la rispetto ma la Leopolda è un'altra cosa: non si protesta ma si propone". E' inevitabile, osserva il premier, che una piazza sindacale sia anche "contro di me". Ma non saranno certo le proteste a fermarlo. "E' finito il tempo in cui una manifestazione blocca il governo e il paese", avverte. D'altra parte la Leopolda è la prova plastica del Pd a cui punta il leader dem: trasversale a età e ceti e oltre le ideologie. Un partito della nazione che faccia il pieno di voti e che vada oltre il bacino elettorale tradizionale della sinistra, dove gli iscritti della Cgil facevano una parte da leone. Ma se la Leopolda è il simbolo del Pd di Renzi, spicca l'assenza della sinistra del partito: ci sarà il ministro Andrea Orlando e qualche esponente dei "giovani turchi", si fa vedere il nuovo arrivo, Gennaro Migliore da Sel. Ma il resto della minoranza, domani, o sarà in piazza con la Cgil o, come Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, altrove. Non a Firenze. Un errore per il leader dem: "Qui non c'è gente strana, è la nostra gente", rivendica chiamando "a casa" l'altro inventore della Leopolda, Pippo Civati.
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