"Non dobbiamo ripetere l'errore di mettere gli stivali sul terreno prima di avere una soluzione politica da sostenere. Ma certo un intervento di peacekeeping, rigorosamente sotto l'egida Onu, vedrebbe l'Italia impegnata in prima fila. Purché preceduto dall'avvio di un percorso negoziale verso nuove elezioni garantito da un governo di saggi". Lo dice il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, rispondendo - a Repubblica - ad una domanda circa un eventuale intervento in Libia. "Saremo parte attiva nell' individuare una transizione politica unitaria cui subordiniamo l'eventualità di una presenza militare di peacekeeping", spiega il ministro.
Nell'intervista, Gentiloni definisce anche la lotta al Daesh, i terroristi dell'Isis, "un impegno che ricade naturalmente anche sull'Italia, con i suoi ottomila chilometri di coste, ma tutta l'Europa è chiamata a farsi carico di affrontare questa minaccia. Non potremo più delegare gli americani, peraltro strategicamente meno interessati di noi alle sorti del Medio Oriente". E secondo Gentiloni "è impensabile un assetto equilibrato della regione senza coinvolgere l'Iran, non solo per il comune interesse contro il Daesh ma anche per l'influenza che Teheran esercita sulle comunità sciite".
A una domanda circa la proposta del governo Netanyahu sulla natura ebraica dello stato di Israele, Gentiloni si limita a rispondere che "un quinto della popolazione israeliana è costituito da cittadini di origine araba e questi devono godere di una incontrovertibile parità di diritti".
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