Non ci sono precedenti di un Presidente del Consiglio eletto Presidente della Repubblica, circostanza che si verificherebbe con l'eventuale elezione di Mario Draghi. Una possibilità che presenta delle difficoltà procedurali su cui si sono esercitati giuristi e costituzionalisti.
Qualora i Grandi Elettori scegliessero per il Colle il nome di Mario Draghi, questi dovrebbe rimettere il mandato nelle mani dell'attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella. Quando un premier si dimette rimane in carica per gli affari correnti, fino a che il nuovo governo non ottiene la fiducia dalle Camera; ma ciò non potrebbe avvenire in questa circostanza, perché Draghi non potrebbe essere al contempo Presidente della Repubblica e premier dimissionario. Secondo alcuni giuristi, dopo le dimissioni di Draghi da Palazzo Chigi, le consultazioni per la nascita del nuovo esecutivo dovrebbero essere condotte subito da Mattarella, il quale dopo la fiducia ottenuta dal nuovo governo si dimetterebbe per consentire l'insediamento di Draghi al Quirinale.
Molti alti giuristi sono di parere diverso, anche perché osservano che politicamente (e non giuridicamente) si può ritenere che Mattarella lascerebbe il compito delle consultazioni al proprio successore. Quindi, in assenza di una norma specifica che valga per questa situazione, si applicherebbe per estensione l'articolo 8 della legge che regola l'attività del governo (la 400 del 1988); tale articolo prevede, "in caso di impedimento" del premier, l'interim per il vicepremier o, quando non c'è questa figura, per il ministro più anziano anagraficamente, nel caso specifico Renato Brunetta.
Il governo Brunetta resterebbe dunque in carica per gli affari correnti, mentre Mattarella si dimetterebbe rispetto alla scadenza del 3 febbraio, consentendo l'insediamento sul Colle di Mario Draghi, il quale avvierebbe le consultazioni per il nuovo governo.
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