Martedì in mattinata la prima riunione della squadra, poi l'invio dei nomi dei ministri via mail al Quirinale. A 5 giorni dal voto Luigi Di Maio chiude la partita del "suo" governo per il quale, dopo quello di Sergio Costa, fa altri 4 nomi, proponendo Lorenzo Fioramonti al Mise, Pasquale Tridico al Lavoro e Welfare, Giuseppe Conte alla Pubblica amministrazione e Alessandra Pace all'Agricoltura. E per Di Maio è anche il giorno dello scontro frontale con Paolo Gentiloni.
"E' surreale presentare un governo ombra prima delle elezioni, di solito lo si fa quando le perdi", attacca il premier. "Gentiloni pensa agli inciuci post voto, noi pensiamo ai cittadini. Il nostro è un governo alla luce del sole", replica il candidato premier M5S. Di certo, la mossa del Movimento è irrituale, seppur mitigata dal fatto che Di Maio non presenti "personalmente" la sua lista al Colle ma si limiti ad inviarla via mail. "Rispetto le prerogative del Capo dello Stato, il mio è un gesto di cortesia", precisa il capo del movimento. Dal Quirinale non arriva alcuna risposta, a testimonianza del fatto che la mossa di Di Maio non può produrre e non produce alcun effetto sul presidente Sergio Mattarella.
Il punto, sul Colle più alto, resta lo stesso di qualche giorno fa: se è fuorviante attribuirgli irritazione per l'iniziativa del M5S, è altrettanto superficiale dare per scontato che l'incarico di governo sia dato a chi prenderà più voti. E così, al momento, la mossa di Di Maio appare soprattutto elettorale e sembra legarsi a quell'effetto "bandwagon" (il carro che trasporta la banda in una parata) secondo cui si compiono atti - in questo caso votare M5S - solo perché si crede che la maggioranza li abbia compiuti. E, non a caso, Di Maio in mattinata già riunisce la sua squadra di governo: 18 persone - lui incluso - tra ministeri con e senza portafoglio.
"Facciamo sul serio, Gentiloni se ne faccia una ragione", spiega il candidato premier M5S ribadendo che, come proposta alternativa al Movimento, "c'è il vuoto. Non coalizioni, ma accozzaglie di partiti che non hanno neppure un candidato premier". Nella strategia di Di Maio c'è anche l'intenzione di presentare una squadra non eccessivamente legata al Movimento: profili "tecnici", soprattutto, personalità del mondo dell'università o che, come nel caso di Pace, già operano nel ministero a loro assegnato. Con l'obiettivo di una "convergenza sui temi" alla quale, oggi, sembra aprire il leader di LeU Pietro Grasso. "Se ci sono punti in comune perché no", osserva il presidente del Senato. Certo, in questa sua gestione "rivoluzionaria" per i canoni pentastellati (squadra di governo esterna e decisa con pochi fedelissimi) Di Maio sa di giocarsi il tutto per tutto. Con una debacle, dal 5 marzo in poi, sarà lui soprattutto ad essere sotto accusa. E c'è da scommettere su possibili malumori interni per alcune scelte.
Fioramonti, "l'economista" del M5S, già nelle scorse settimane aveva ad esempio subito più di una critica da qualche deputato M5S e le sue passate collaborazioni con "i poteri forti" (come la Rockfeller Founfation) a diversi attivisti non erano piaciute. Ma il candidato premier M5S esclude due scenari: sia la sconfitta M5S sia il suo addio in caso di debacle grillina.
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