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ANSAcom - In collaborazione con Gilead
L’epatite Delta, infezione virale del fegato, è una malattia rara ma molto aggressiva. La soluzione può essere il nuovo farmaco bulevirtide che blocca l’ingresso del virus nella cellula epatica. È quanto emerge dal 22/o Congresso nazionale della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), a Palazzo degli Affari a Firenze."’È una malattia rara, l’infezione da virus dell’epatite Delta può incorrere solo in soggetti HbsAg positivi, si stima che il 5-7% di persone con infezione da HBV abbia una concomitante infezione da virus Delta – spiega la professoressa Maurizia Brunetto, ordinario di gastroenterologia dell’Università di Pisa e Direttore delle unità operative di epatologia dell’azienda ospedaliera di Pisa -. L’infezione determina una epatite cronica nella maggior parte dei pazienti infetti: tale epatite evolve rapidamente. Inoltre la maggior parte dei pazienti con infezione da HBV ha una epatite cronica che evolve, spesso prima dei 50 anni, in cirrosi o altre complicanze”. L’azione del farmaco bulevirtide può essere determinante: “Da poco più di un anno in Italia abbiamo a disposizione questo farmaco che blocca l’ingresso del virus Delta nella cellula epatica; quindi, altera l’equilibrio dell’infezione impedendo l’espansione del virus nel fegato – osserva Brunetto -. Tale farmaco si è dimostrato efficace nell’indurre l’abbattimento dei livelli di virus nel corso del trattamento e un’importante riduzione delle transaminasi. Lo studio presentato oggi è il primo studio di fase 3, in cui bulevirtide viene usato in monoterapia, e ci dimostra un incremento progressivo dei pazienti che raggiungono una riduzione di almeno due logaritmi di HBV-RNA a due anni di trattamento”. Quello che conta è riuscire a identificare al più presto i soggetti portatori del virus Delta. “Ed è semplice – conclude Brunetto -. Il medico che identifica un soggetto HbsAg positivo deve fare lo screening per il virus Delta, si tratta di un semplice test anticorpale alla ricerca dell’anticorpo anti-delta nel sangue. In questo modo, è possibile individuare il soggetto eventualmente infetto consentendo così l’esecuzione di ulteriori approfondimenti diagnostici e, soprattutto, valutazioni per la terapia che garantiranno al paziente l’intervento tempestivo che possibilmente eviterà lo sviluppo delle complicanze severe della malattia di fegato”.
ANSAcom - In collaborazione con Gilead
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