In una delle sue gustose conferenze sulle dinamiche di gruppo, Julio Velasco, l’allenatore della nazionale italiana di pallavolo super-vincente degli anni ’90, parla di come lo schiacciatore in una squadra di volley cerca sempre un alibi per una schiacciata sbagliata incolpando l’alzatore, che gliela ha alzata male, il quale a sua volta si rivolge a chi ha ricevuto la battuta avversaria e gliela ha messa male. Questo però non può più scaricare la responsabilità su nessuno, perché è il primo di quella catena. Verrebbe da chiedersi: siamo uomini o schiacciatori? Quello che Velasco sta dicendo è: assumiamoci le nostre responsabilità.
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In tanti in queste settimane ma soprattutto negli ultimi giorni, e fra questi il più autorevole di tutti, il presidente della Repubblica, hanno fatto appello a questa espressione. Perché? E cosa significa esattamente?
Per una volta, benché la radice del termine sia ovviamente latina, non dobbiamo tornare all’antica Roma o alla Grecia per trovare il primo insorgere di questa espressione. Il bello della parola responsabilità è che è moderna. Anzi potremmo dire che si affaccia sulla soglia della modernità: il primo uso documentato è in un testo che si intitola, pensate un po’, ‘Il federalista’. E’ una raccolta di articoli di Alexander Hamilton, John Jay e James Madison pubblicata nel 1788 dove viene usata per la prima volta la parola "responsability", per indicare che il governo degli Stati Uniti è responsabile del proprio operato nei confronti del popolo che gli ha delegato i suoi poteri.
Non è un caso che la parola sia nata all’alba della modernità, legata a quella rivoluzione che ha aperto le porte alla democrazia come la conosciamo ancora oggi. E’ infatti una parola strettamente connessa allo sviluppo e alla valorizzazione dell’individuo che, così come lo intendiamo noi, figli di quella modernità, e come lo intende anche Velasco, prima non esisteva. Individuum, cioè nucleo non diviso, poteva essere anche una coppia o addirittura una famiglia. Responsabilità invece deriva da respondere, cioè rispondere, che a sua volta è composta da re-, indietro, e spondere, promettere. Quindi rispondiamo promettendo qualcosa di rimando, per esempio un comportamento coerente con le regole comuni che ci siamo dati e abbiamo accettato. Perché la responsabilità implica certamente una chiamata in causa dell’individuo ma in quanto connesso e interdipendente dagli altri.
Per questo il pensatore che più di ogni altro nel XX secolo ha riflettuto su questo concetto, Hans Jonas, nel suo 'Il principio responsabilità' parla di un’etica razionalista applicata alle conseguenze che i nostri comportamenti possono avere, non solo in questo momento e non solo su una persona o una situazione, ma sull’intera biosfera. Ed è dunque anche una responsabilità proiettata nel futuro. Jonas, un’allievo di Martin Heidegger e compagno di studi di Hannah Arendt, l’autrice del celebre La banalità del male, che sarebbe piaciuto a Greta Thunberg, distingueva, sulla linea di Max Weber, tra etica della convinzione o etica dei principi e etica della responsabilità.
La prima si fonda su principi assoluti, è ideologica e dunque assai meno sensibile alle conseguenze che può produrre; la seconda è l’etica della complessità, basata su sistemi di relazione ed è il risultato di un processo a catena (ed è quello sostanzialmente descritto anche da Velasco nella divertente ricerca dell’alibi da parte dello schiacciatore. Va notato che la bellissima parola alibi, che pure deriva dal latino, significa ‘altrove’ ed è per questo l’esatto opposto della responsabilità: non ero qui, ero altrove, non sono io quello che stai cercando, come direbbe Francesco De Gregori).
L’etica della responsabilità ragiona costantemente sul bilanciamento di conseguenze e benefici, dove il limite della libertà dell’individuo – che senza limiti non sarebbe tale – è proprio questa responsabilità. Ci sono molti tipi di responsabilità: la più famosa è naturalmente quella giuridica, che può essere penale o civile, ma c’è anche la responsabilità sociale, oggettiva (anche senza colpa diretta), e c’è naturalmente una responsabilità politica. 'Per le persone indisciplinate che vogliono ricevere tutto su un piatto d’argento – ha scritto l’iraniano Saeed Habibzadeh – la responsabilità è un peso di cui si vogliono liberare’'. Forse perché, come spiega Daisaku Ikede, presidente della Soka Gakkai, l’associazione buddista internazionale, la responsabilità implica l’ascolto: di una comunità da parte di un leader, per esempio. Questa responsabilità, se assunta senza consapevolezza, può far anche impazzire. Come capita a Jack Torrance, il protagonista di Shining.
Tratto dal film Shining
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