Le parole della pandemia in molti casi sono parole comuni, che utilizziamo quasi tutti i giorni, ma che il discorso pubblico e privato sul Covid ha in un certo senso rivitalizzato, riattualizzato oppure ci ha mostrato in una nuova luce (è il caso di misura, stanza, fiducia, barca ecc.). Altre invece, provenienti da un ambito più ristretto (o, come vedremo, magari due) sono diventate improvvisamente delle star del web, dei tg e nei talk show. Immunità, parola-salvezza, parola-illusione, è certamente una di queste.
La confusione delle prime settimane, che in qualche caso è durata anche dopo grazie alla caotica disfida tra virologi, infettivologi, epidemiologi ed esperti di ogni tipo, ha prodotto anche le inevitabili ironie e parodie, da quella ispirata a Fiorello dall’app Immuni (‘Sarebbe meglio chiamarla Immane, come la tragedia che stiamo vivendo’) a quella, più articolata ma decisamente più sboccata, di Checco Zalone, che nella canzone ‘L’immunità di gregge’, imitando lo stile di Domenico Modugno, interpreta un uomo in fremente attesa di poter rivedere l’amata.
Alberto Mantovani, immunologo e direttore scientifico di Humanitas a Milano dice di non amare molto il termine e di preferire l’ ‘immunità di comunità’ perché contiene un implicito riferimento alla solidarietà. Questa immunità, ha spiegato Mantovani in una intervista al Corriere della sera nei giorni caldissimi della pandemia in Italia, si ottiene in due modi: “o con il vaccino o in modo spontaneo, come accade per esempio nel trattamento dell’influenza”. Non sappiamo quanto consapevolmente, ma ha toccato il cuore del problema che la parola stessa presenta.
L’immunità di gregge è stata la prima scommessa esplicita di un capo di governo: Boris Johnson aveva pensato di puntarci cinicamente, nelle prime settimane di marzo. Ispirato da una delle sue massime autorità mediche, Sir Patrick Vallance, sperava di svilupparla lasciando infettare il 60% della popolazione britannica. Sappiamo come è finita (quasi 50mila morti, il dato più alto in Europa) e quanti giri di valzer sulla questione Covid abbia fatto BoJo, colpito lui stesso dal virus e ricoverato per oltre una settimana, di cui alcuni giorni passati in terapia intensiva. Per non parlare della diatriba sui test sierologici, quelli cioè che registrano il cosiddetto ‘movimento anticorpale’, la presenza di anticorpi che testimonia dell’avvenuta infezione e dell’eventuale acquisita immunità (altra questione, peraltro, su cui il dibattito sembra essere ancora aperto).
Ma qual è il significato del termine? Può dirci qualcosa sull’ansia da immunità e sull’idea che solo da essa possa passare la nostra salvezza? La parola ha un’origine latina e deriva da immunis, espressione formata da in-, che significa senza, e munus cioè obbligo, servizio, imposta. Il suo primo significato dunque non è legato alla medicina ma all’ambito politico e legale, perché indica una garanzia o un privilegio che esenta da qualcosa. Per questo si parla di immunità parlamentare o immunità diplomatica. Per estensione poi il termine ha finito per indicare l’essere esente in assoluto e quindi anche da una malattia. Il nostro sistema immunitario è quello che, se funziona, ci evita, ci esenta dall’essere colpiti da una certa malattia perché resiste grazie a capacità innate o anche acquisite. È quello che fanno i vaccini, stimolando e quindi rendendo capace il sistema immunitario a resistere all’attacco di una determinata malattia. Fin qui dizionari ed etimologie. Ma possiamo essere esenti dal rischio? Nel mondo contemporaneo, dove tutti i pericoli essenziali sono diventati pericoli mondiali ,secondo il sociologo Ulrich Beck, la risposta è no. E quindi il compito principale ora, dice Beck, che ha definito il rischio ‘il nuovo mastice dell’Occidente e del mondo’, è ‘la preoccupazione per il tutto’, impossibile separare singole comunità dal resto del mondo.
Ma come c’è qualcosa di necessario dietro all’esigenza di immunità politica e diplomatica, così forse anche qualcos’altro si nasconde dietro a quella che Roberto Esposito, filosofo e docente alla Scuola Normale Superiore, ha definito ‘sindrome immunitaria’. Esposito, esperto di biopolitica (cioè delle norme che regolano la vita nei suoi molteplici aspetti, fino alla morte), già autore di ‘Communitas’, ha pubblicato nel 2020 il tempestivo ‘Immunitas’, il cui sottotitolo recita: ‘Protezione e negazione della vita’. Lui stesso in una intervista ha fatto ‘oscillare’ la parola tra i due campi: ‘L’immunizzazione è reclamata da un lato come difesa dal contagio da parte di altri individui e dall’altro come una sorta di vaccino nei confronti della stessa malattia’. In questo caso dunque Immunitas è esattamente il contrario di communitas: in un caso vogliamo essere esenti, nell’altro i membri del gruppo mettono in comune l’obbligo e il dono espressi dalla parola munus. ‘Globalizzazione, immigrazione, terrorismo, eventi molto diversi tra loro – ha spiegato Esposito - potenziano al massimo l'ansia di immunizzazione delle società contemporanee, modificando alla radice i nostri comportamenti’. Naturalmente si tratta di un’esigenza reale e ragionevole. Basta fare attenzione al rischio della sindrome Michael Jackson.
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