Terrence Malick è un regista che definire schivo è davvero un eufemismo. Due film in cinque anni, tra il 1973 e il 1978, poi venti anni di silenzio totale, non solo cinematografico, e il ritorno nel 1998 con La sottile linea rossa, il film che lo fece scoprire ai più giovani e al pubblico che non aveva mai visto i precedenti La rabbia giovane e I giorni del cielo. Sette anni dopo La sottile linea rossa, esce l’atteso The new world-Il nuovo mondo: si potrebbe dire che è la storia, celeberrima, di Pocahontas e del suo amore per il capitano Smith. Ma naturalmente è molto di più. In particolare è la rappresentazione di come si possa percepire il ‘nuovo’, in un altro mondo, in una terra vergine, in un’altra vita. Gli intervalli di tempo non sono un dettaglio per Malick e a pensarci bene non lo sono neanche in relazione alla parola che abbiamo scelto e che è una delle più utilizzate e più scritte in questi giorni: inizio.
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Nella notte di San Silvestro ci si augura in genere buona fine e buon inizio e l’idea che c’è dietro, inevitabile, molto umana e certamente un po’ consolatoria, è che per il solo fatto che la convenzione del calendario ci indichi un nuovo numero e quindi un nuovo anno, si possa o si debba in qualche modo ripartire, ricominciare da zero come spesso si dice, quasi immaginarci una nuova vita o una nuova dieta se non proprio un nuovo mondo come quello che si presentava agli occhi del capitano John Smith appena sbarcato in Virginia dove lo attendeva “qualcosa di speciale”, a cominciare dalla figlia del re dei Powhatan, la principessa Pocahontas.
In fondo, chi compulsa gli oroscopi tra la fine di un anno e l’inizio di un altro lo fa per cercare l’indizio (o la garanzia) della propria Pocahontas, metafora di un nuovo amore, di una salute migliore, di un guadagno più consistente, di un’affermazione, di una svolta. L’origine della parola inizio, però, ci mette già in guardia rispetto a questo pensiero un po’ ingenuo, a questa idea per cui ciò che comincia è bello per il solo fatto di cominciare e che ci porta a credere che l’inizio è, o è stato, sempre meglio di quello che viene e verrà dopo. E’ l’idea del pensiero aurorale, della magia dei primi passi, è il mito dell’età dell’oro, quello che ha probabilmente dato vita a numerosi adagi e proverbi, a cominciare da ‘Il mattino ha l’oro in bocca’ che, tanto per restare al cinema, il genio di Stanley Kubrick capovolse in una sinistra sindrome della pagina bianca in Shining.
La parola inizio deriva dal latino initium che è un sostantivo derivato dal verbo inire che significa entrare, andare in, andare dentro. A differenza di “principio”, che discende da princeps, cioè il primo, e ancor più di “origine”, che proviene da orìgo, cioè nascita, provenienza, inizio sembra indicare qualcosa che è già in cammino, cioè che entra e quindi passa, da uno stato all’altro. Un po’ come diceva Calvino, contestando il fascino magico dell’incipit: “Tutto è già cominciato prima, la prima riga della prima pagina di ogni racconto si riferisce a qualcosa che è già accaduto fuori dal libro”.
E' proprio l’etimologia della parola inizio a negare la mitologia dell’inizio, quella che, secondo il filosofo Betrand Russell è dovuta solo alla povertà della nostra immaginazione. Russell d’altra parte era l’erede di una tradizione millenaria, quella del pensiero razionale, cioè il nostro, che nel concetto stesso di inizio aveva immediatamente individuato un’aporia, cioè una difficoltà interna all’idea stessa che si voleva concettualizzare. E un irriverente giovane filosofo tedesco, Richard David Precht, i cui libri in Germania sono bestseller, ha intitolato uno di questi “Ma io chi sono? (Ed eventualmente quanti sono?)”.
Quella del nuovo inizio, una espressione che sentiamo ripetere sempre più spesso e che è diventata anche il titolo di un videogioco, è una retorica frutto di un malinteso. La pagina non è mai bianca, e non c’è una terra vergine, non lo era nemmeno la Virginia del Nuovo Mondo, già abitata. Siamo letteralmente una storia, fatta di intervalli di tempo, entriamo e usciamo da diverse esperienze, sembra suggerire la parola inizio. Casomai c’è una riflessione a posteriori sull’inizio, perché è alla luce di quello che succede dopo che rivediamo o vediamo per la prima volta, quel certo inizio. Un’esperienza e una sensazione che fu colta molto bene da un celebre gruppo di progressive rock negli anni Settanta, gli Emerson Lake & Palmer, con una ballad raffinata e e piuttosto enigmatica, rimasta celebre e intitolata appunto, From the Beginning.